L’invasione russa dell’Ucraina, con i prezzi delle materie prime energetiche e di altre commodity tornati a crescere e con l’aumento dell’incertezza sull’evoluzione della crescita economica, ha cambiato le prospettive di miglioramento che l’economia italiana mostrava a inizio anno, portando a un drastico ridimensionamento della previsione di crescita del Pil per il 2022, quasi dimezzata al 2,2%, pari al cosiddetto «trascinamento statistico di fine 2021”. Lo racconta il report su L’aggiornamento dello scenario italiano dopo l’invasione russa dell’Ucraina realizzato nell’ambito del progetto di ricerca Monitor Fase 3, frutto della collaborazione tra Area Studi Legacoop e Prometeia, pubblicata lunedì 2 maggio.
Nel 2022 nessuna crescita aggiuntiva rispetto a quella acquisita nel 2021
Le nuove misure espansive, programmate per circa 10 miliardi di euro, insieme al traino del Pnrr, Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, consentono di attenuare gli effetti negativi della guerra. Tuttavia, restano elevati i rischi che gli investimenti previsti dal Pnrr non seguano la scansione temporale e quantitativa programmata dal Governo. In ogni caso, la crescita «persa» non potrà essere recuperata negli anni successivi, con una previsione della crescita del Pil al 2,5% nel 2023 e all’1,9% nel 2024. Anche nei prossimi anni è da ritenere che il percorso di recupero rimarrà frenato da prezzi dell’energia permanentemente più alti. “Il Pnrr si conferma sempre più non solo la nostra occasione, ma a questo punto l’ancora di salvezza di questo paese – osserva il presidente di Legacoop Mauro Lusetti -. Va aggiornato, ovviamente, alla luce delle revisioni dei prezzi, ma non va stravolto e nemmeno riscritto. Soprattutto, dovrà coinvolgere il tessuto produttivo e sociale dal basso, per essere un grande sforzo collettivo, e cooperativo, per trasformare questo paese malandato”.
Cosa è cambiato con lo scoppio del conflitto
Se prima della guerra l’economia italiana era prossima ai livelli pre-Covid (con un Pil inferiore di soli 0,3 punti percentuali rispetto al quarto trimestre 2019), pur permanendo consistente la distanza dell’occupazione totale (-224mila unità), lo scoppio del conflitto ha impresso un’ulteriore accelerazione ai prezzi delle materie prime energetiche e delle commodity (ad aprile, in Europa il prezzo medio del gas naturale ha raggiunto i 101 Euro a Mwh) e il clima di fiducia delle famiglie è crollato, mentre è stato molto più contenuto il peggioramento di quello delle imprese.
La dipendenza dell’Italia dal gas
Lo studio rileva come la guerra abbia portato in evidenza un fatto noto ma ritenuto finora trascurabile, ossia che l’Italia, più di altri paesi, è fortemente dipendente dal gas (quasi il 50%) per la produzione di energia elettrica e da quello russo in particolare (oltre il 40%). Inoltre, è rilevante il venire meno dei rifornimenti di alcune materie prime e semilavorati di cui Russia e Ucraina detengono una quota di mercato significativa. Per fare qualche esempio, l’Italia importa dalla Russia il 96,8% dell’ammontare complessivo delle piriti di ferro, il 77,8% dei prodotti ferrosi, il 57,2% della ghisa, il 42,2% dei semi di lino, il 35,4% del carbone; dall’Ucraina, il 54,6% dei semi di girasole, il 50,5% dell’argilla, il 49,2% dei semilavorati di ferro, il 31,7% dei silicati, il 22,8% del mais.
Rischio arresto per le catene di fornitura
Da non trascurare, inoltre, come in un mondo interconnesso come quello attuale, con catene del valore complesse, gli effetti sulle economie potrebbero andare al di là di quello che suggeriscono i dati sull’interscambio. Le catene globali di fornitura che, dopo le difficoltà incontrate lo scorso anno, sembravano essersi avviate alla normalizzazione, potrebbero subire un altro arresto mettendo in seria difficoltà la ripresa della produzione. Rispetto a questo quadro, il report, ipotizzando che il conflitto rimanga circoscritto e la pandemia sia sotto controllo, evidenzia come dopo le difficoltà nel primo semestre dell’anno, il rientro dei prezzi dell’energia, l’impulso determinato dal Pnrr e l’adozione di ulteriori misure espansive (dopo i 20 miliardi già stanziati nel 2021-2022 a sostegno di famiglie e imprese contro il caro energia) potranno trainare la ripresa.
La spinta del Pnrr sulla crescita
Il Pnrr, con un impatto medio annuo sul Pil di +0,4 punti percentuali, rappresenta un’opportunità. Tra l’altro – viene messo in evidenza dall’indagine -, la Missione della «Transizione energetica» del Piano si intreccia con la necessità, resa ancora più evidente dalla guerra, di avviare una strategia di medio-lungo termine di riduzione della dipendenza da importazioni di combustibili fossili, incentivando gli investimenti in energia pulita ed efficienza energetica.
I rischi connessi all’attuazione del Piano
Ma non vanno trascurati i rischi connessi all’attuazione del Piano, relativi alla debolezza delle amministrazioni, alle possibili strozzature nel settore delle costruzioni con un impatto sulla realizzazione delle opere pubbliche, l’aumento dei prezzi delle materie prime e dell’energia, l’aumento dell’incertezza e del livello di impegno della politica di bilancio e del dibattito politico.
Il ruolo della politica di bilancio
L’altra leva per un recupero della crescita, continua l’indagine, è la politica di bilancio. Nel Def 2022, pur nel quadro di un peggioramento del profilo della crescita, il buon risultato dei conti pubblici 2021 migliora la previsione del disavanzo tendenziale e delinea un margine per misure espansive per 10,5 miliardi (pari allo 0,5% del Pil), destinate prevalentemente a compensare l’aumento del costo delle opere pubbliche e a contenere il prezzo di carburanti ed energia.